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Potevamo, ripetevamo: come la guerra è diventata l’idea nazionale della Russia (seconda parte)

Potevamo, ripetevamo: come la guerra è diventata l’idea nazionale della Russia (seconda parte)

Traduzione dall’originale “Можем, повторяем: как война стала национальной идеей России

Seconda parte

Gli anni ’90: alla ricerca di un nuovo significato

Nell’anniversario della fucilazione della famiglia reale, il 17 luglio 1993 fu inaugurato a Pushkin, vicino a San Pietroburgo, un monumento a Nicola II. La memoria dell’ultimo imperatore russo è stata attivamente ravvivata in Russia a partire dai primi anni Novanta. All’epoca, molti vedevano la monarchia come una delle alternative, sia storiche che politiche, al periodo sovietico. Il monumento fu commissionato dall’imprenditore di Pushkin, Sergei Rogov. Tre anni dopo, sulla pietra apparve un’iscrizione: “Questo monumento è stato inaugurato il 4/17 luglio 1993. Eretto dall’industriale e mecenate russo Sergei Rogov, innocentemente assassinato a Tsarskoye Selo il 6/19 novembre 1996”.

Rogov commerciava in gas liquefatto e prodotti petroliferi ed era amico di Shamil Tarpischev, allenatore di tennis e amico di Boris Eltsin. Si ritiene che questa conoscenza abbia aiutato Rogov a diventare proprietario della Tobolsk Petrochemical Combine. A Mosca, Rogov fu patrocinato e aiutato dalle conoscenze di Dmitri Filippov, un ex leader della nomenklatura sovietica e del Komsomol, che divenne capo del servizio fiscale di San Pietroburgo all’inizio degli anni Novanta. Nel 1996 Rogov fu ucciso a Pushkin. Due anni dopo, anche Filippov fu assassinato: saltò in aria entrando nella sua casa a San Pietroburgo. La Tobolsk Petrochemical Combine divenne presto parte di Gazprom. Ma il monumento all’ultimo imperatore russo si trova ancora oggi a Pushkin, retaggio di un’epoca turbolenta e travagliata.

Questa storia criminale e commemorativa è altamente indicativa della situazione che si è sviluppata in Russia nei primi anni Novanta nel campo della “politica commemorativa”. Il crollo del comunismo ha portato ad un decentramento della narrazione commemorativa, mettendo in discussione il monopolio delle autorità sull’enunciazione simbolica. Il numero di attori della politica della memoria è aumentato costantemente. Tra questi vi erano singoli uomini d’affari, come nell’esempio precedente, la Chiesa ortodossa russa, le associazioni dei veterani, che dalla fine degli anni ’80 commemoravano la guerra in Afghanistan, i partiti politici e persino i club di interesse (o per hobby, ndt). Così, nel 1992, l’azione dei tifosi dello “Spartak” hanno portato all’apertura di un memoriale nello stadio Luzhniki di Mosca in onore dei tifosi morti [a causa del crollo delle scale dello stadio] durante la partita del 1982 tra il club sovietico e gli olandesi dell’Haarlem.

Nel 1990 era stata inaugurata in Piazza Lubyanka, a Mosca, la “Pietra di Solovetsky”, un monumento commemorativo sulla repressione politica in URSS [- piazza] che fino a poco tempo prima portava il nome di Felix Dzerzhinsky e all’epoca ospitava ancora la statua del fondatore della Cheka. Si trattava di un’iniziativa dell’associazione “Memorial”, che coordina numerose e disparate associazioni regionali dedicate alla memoria delle vittime della repressione sovietica. All’epoca monumenti simili erano già apparsi in molte città. Ad esempio, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, nel cimitero Levashovsky di San Pietroburgo furono eretti numerosi monumenti e croci in memoria delle vittime degli anni ’30. In Carelia nel sito di Sandarmoch, luogo di fucilazioni di massa durante il terrore staliniano, alla fine degli anni ’80 era iniziata una ricerca dei luoghi di sepoltura culminata nella creazione di un memoriale. E a Pushkin, in un luogo dove [erano avvenute] le esecuzioni tedesche nel 1941, venne eretto un monumento in memoria delle vittime ebree opera di Vadim Sidur.

Un’altra caratteristica della politica commemorativa della nuova Russia è la lotta contro l’eredità sovietica. Alle città e alle strade sono state restituite i nomi pre-rivoluzionari. Alcuni monumenti sono stati rimossi o spostati dal centro delle città alla periferia, come è successo con il monumento a Dzerzhinsky alla Lubyanka dopo il putsch dell’agosto 1991. Tuttavia, non bisogna sopravvalutare la portata di questa de-comunistizzazione: la stragrande maggioranza dei monumenti ufficiali sovietici è rimasto al suo posto. Anche i dibattiti, seppur accesi, su cosa fare della salma di Lenin e del Mausoleo, non hanno portato ad un consenso russo su questo tema. Anche la commemorazione della Grande Guerra Patriottica non è scomparsa, sebbene la sua commemorazione sia stata su scala minore, con l’erezione di piccoli monumenti e targhe fino al 1995.

All’inizio degli anni ’90 il governo federale era alla ricerca disperata di figure autorevoli e soggetti eroici per la nuova era. Ha flirtato con il monarchismo, si sono spese molte energie per cercare e seppellire i resti della famiglia imperiale, si è cercato di reinterpretare l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e si è ribattezzato il 7 Novembre da Grande Giornata della Rivoluzione Socialista d’Ottobre a Giornata della Concordia e della Riconciliazione, si è lavorato con “Memorial” e la memoria della repressione sovietica. Parallelamente, nelle regioni si sono cercati eroi per i nuovi tempi. A Irkutsk, ad esempio, si è cercato di far rivivere la memoria dell’Ammiraglio bianco Kolchak, fucilato in quella città. All’inizio degli anni ’90, Vladimir Daev, direttore dell’Irkutskpischeproma (azienda alimentare, ndt), ebbe addirittura l’idea di produrre una nuova marca di birra chiamata “Ammiraglio Kolchak”; le processioni in chiesa nel giorno in cui l’ammiraglio fu fucilato divennero una tradizione cittadina e nel 2004 fu eretto un monumento a lui dedicato. Il sud della Russia e il Caucaso settentrionale sono stati teatro di una lenta lotta per la memoria: da un lato, il ricordo dei cosacchi, dall’altro, le azioni brutali delle truppe russe durante la guerra del Caucaso. In Estremo Oriente sono stati eretti i monumenti agli atamani, ai pionieri Yerofey Khabarov, Pyotr Beketov e ai cosacchi – che furono i primi coloni di Blagoveshchensk.

Tra le figure simboliche che all’epoca dovevano assumere il ruolo di eroi principali della nazione c’erano Pushkin, Georgy Zhukov, Dmitrij Donskoy, Kutuzov e una schiera di santi e martiri ortodossi. Tutti questi tentativi non hanno avuto particolare successo, tranne, forse, la rinascita della memoria di Aleksandr Nevskij: nel periodo post-sovietico sono stati eretti in tutto il paese non meno di tre decine di grandi monumenti a lui dedicati. Il culto di Nevskij nella Russia post-sovietica è molto legato al libro di Lev Gumilev, “Ancient Rus and the Great Steppe” (1989), in cui il principe veniva presentato come il salvatore dell’Antica Russia e un combattente per l’indipendenza del Paese. L’autore gli attribuisce le caratteristiche simboliche di Pietro il Grande. Per inciso, anche il primo imperatore russo si è rivelato un oggetto della “politica commemorativa”; la sua immagine è stata replicata e gonfiata con un nuovo tono che mescolava echi del culto stalinista di Pietro il Grande e discorsi su una “nuova” Russia di stampo occidentale. Alla fine l’imperatore è stato immortalato in un grandioso monumento di Zurab Tsereteli sul fiume Moscova nel 1997.

Tutte queste attività erano caotiche e incoerenti. La ricercatrice Maria Lipman ha scritto a tal proposito su questo periodo: “Negli anni ’90, sia lo Stato che parte della società hanno tentato di ripudiare l’identità sovietica, ma le cose erano più difficili con un programma ideologico/simbolico positivo.” Tuttavia, dopo essersi addentrati nel territorio del ricordo delle vittorie militari del passato e aver lavorato sulla commemorazione di figure come Aleksandr Nevskij, le autorità stavano gradualmente trovando la strada verso un nuovo pantheon commemorativo. E gli eroi della Grande Guerra Patriottica occupavano un posto molto importante.

9 maggio 1995. Il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e il Primo Ministro britannico John Major sono in piedi nell’area riservata agli ospiti, vicino al Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa. Al Mausoleo stesso si trovano il Presidente Boris Eltsin e i membri della leadership politico-militare della Russia. In questo giorno, per la prima volta nella storia post-sovietica, si svolge la parata del Giorno della Vittoria. Eltsin, in piedi [e vicino] alla tomba del fondatore dello Stato sovietico, ricorda come “i nostri padri, nonni e fratelli hanno lasciato la Piazza Rossa per difendere la libertà e l’indipendenza della Russia” per poi aggiungere: “Le ceneri del malvagio sono sparse, ma Mosca e la Russia resistono e resisteranno per i secoli a venire”. Nella presentazione di Eltsin, la vittoria appare in una nuova forma. Mentre ai tempi dell’Unione Sovietica la commemorazione del Giorno della Vittoria il trionfo degli insegnamenti di Lenin, per Eltsin, in quanto primo presidente della nuova Russia, questo evento simboleggiava le basi per il cammino della Russia verso la democrazia e la libertà, nonché l’amicizia e il partenariato con i Paesi dell’Occidente.

Poi è nata una nuova tradizione che non esisteva nell’Unione Sovietica: dal 1995, la Parata della Vittoria si è tenuta ogni anno. Gradualmente è diventata il principale evento commemorativo della Russia post-sovietica. Una ricerca febbrile ha portato il nuovo governo a recuperare la memoria della Grande Guerra Patriottica e, più in generale, a desiderare l’antica grandezza e forza del Paese. Inizialmente le parate si tenevano solo nella capitale, ma gradualmente si sono spostate in altre grandi città: da San Pietroburgo e Grozny a Yakutsk e Vladivostok. Nel 2015 si sono tenute più di 60 parate in tutto il Paese; nel 2022 sono state più di cento.

Nel 2000, Vladimir Putin, parlando al Mausoleo di Lenin, disse: “Cari soldati di prima linea, con voi siamo abituati a vincere. Questa abitudine è diventata parte del nostro sangue e una garanzia non solo per le vittorie militari. Più di una volta ci aiuterà nella vita pacifica, aiuterà la nostra generazione a costruire un Paese forte e prospero, porterà alta la bandiera russa della democrazia e della libertà. Il nostro popolo ha attraversato più di una guerra, ed è per questo che conosciamo il prezzo della pace.”

Per bocca di Putin, il nuovo governo parla di vittoria come di un evento che ha dato alla Russia pace e indipendenza, mentre gli eroi di quella guerra sono stati glorificati come martiri che si sono sacrificati per la democrazia e la libertà. Ma questa lettura si è rivelata di breve durata.

tradotto da Gruppo Anarchico Galatea di Catania

La prima parte è stata pubblicata sul numero 16

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